I pani pasquali in Sardegna: una certa prova di originalità

I pani pasquali in Sardegna: una certa prova di originaità

La Sardegna è stata – storicamente – una regione molto povera. Povera perché pochissimi erano quelli che potevano permettersi di acquistare prodotti e ingredienti che provenivano da oltremare. Ma non certamente povera di prodotti agricoli o legati alla pastorizia, che spesso non c’era bisogno di acquistare, perché si potevano produrre in proprio, oppure scambiare e barattare.

Ingredienti locali

Va da sé, quindi, che i dolci che si preparavano tradizionalmente nelle case fossero a base di ingredienti locali: farina di grano duro, miele, formaggio, strutto, mandorle. E questi ingredienti di base, ma a loro modo preziosi, a seconda delle zone hanno dato origine a una varietà di preparazioni praticamente infinita. I dolci, che oggi si trovano ovunque in qualsiasi periodo dell’anno, venivano quasi sempre preparati per le festività come la Pasqua o per le cerimonie.

Ma c’è un prodotto ancora più fondamentale e antico, più intimo e casalingo, che si lega alle feste religiose, alle celebrazioni dei santi e dei sacramenti o alle ricorrenze familiari: il pane. E i pani rituali legati alla Pasqua (Pasca ‘e aprile) e alla Quaresima che la precede sono tra questi forse i più particolari.

Forme originali

Già dal mercoledì delle ceneri era usanza, più o meno in tutta l’isola, impastare pani specifici, che venivano consumati in casa, ma anche distribuiti ai vicini tutte le domeniche di Quaresima, la domenica delle Palme e quella di Pasqua. Erano pani bianchi – ovvero fatti di sola farina di grano – modellati in forme codificate, alcune un tantino bizzarre se non se ne conosce il significato profondo.

Ad Abbasanta (Oristano) per esempio, era usanza modellare i “pani della passione e della morte di Gesù”, che si chiamavano sos zoos de Deus e avevano la forma dei chiodi che inchiodarono il poveretto sulla croce. A Tramatza (Oristano) e a Pattada (Sassari) i pani avevano la forma della croce (sa rughe), della scala per la deposizione (s’iscala), o, ancora, della corona di spine (coronas).

È chiaro che questo pane – del tipo a pasta dura, ovvero poco umido, facilmente conservabile, a volte spennellato con acqua e zafferano per dare colore, o anche con sola acqua per rendere la superficie più liscia e lucida –  superava di gran lunga il suo semplice significato di nutrimento divenendo rituale Un pane lontano dal quotidiano, lontano dal consumo sulla tavola di casa.

A Settimo San Pietro (Cagliari) l’usanza prevedeva – ma ancora a volte prevede – che si modellasse un pane quaresimale particolare destinato ai bambini: la pippia ‘e caresima: una pagnotta a forma di bambola, ma con cinque gambe. Ogni domenica di Quaresima se de doveva staccare e mangiare una.

Per la domenica delle Palme nelle regioni del Marghine, del Sarcidano e dell’Oristanese era diffusa l’usanza (oggi un po’ abbandonata) di modellare la pasta del pane in strisce da intrecciare a foggia di palma benedetta. Nelle intersezioni si incastonavano delle mandorle contornate da delicate forme a fiore o a uccellino. A Seneghe (Oristano) per le Palme si confeziona su kokkoèddhu de pramma: un pane bianco a forma di palma con l’aggiunta di uva passa.

I pani pasquali in Sardegna: una certa prova di originaità

Per i bambini

Un altro filone di pani pasquali è quello, in senso lato, più laico. Ovvero pani modellati in buffe forme zoomorfe come uccellini, gallinelle (pudde), pavoncelle, pesci; oppure bamboline, cestini e fiori, sui quali vengono adagiate una o più uova – con il guscio – in fase di decorazione, prima della cottura.

I nomi sono davvero molti: coccoi cun s’ou, coccoi de pasca, coccoi de ou, cozzulu di l’obu… Si sa: il valore simbolico di buon augurio (primaverile) dell’uovo è noto e ampiamente condiviso, anche a prescindere dalla Pasqua.

Questi pani un tempo erano prevalentemente destinati ai bambini; in pratica erano l’equivalente casalingo (e povero) dell’uovo di cioccolato. Oggi si fanno sì, in parte, ancora per i piccoli di casa, ma più che altro con l’intento di insegnare una tradizione che rischia di perdersi.

I pani pasquali in Sardegna: una certa prova di originaità

A Villagrande Strisaili, in Ogliastra, le uova incastonate nel pane pasquale per tradizione sono addirittura nove. Il pane, chiamato angùli ’e noi kokkoìs doveva essere impastato dalle madrine per donarlo ai figliocci e alle figliocce. A Villacidro, nel Medio Campidano, invece i pani con le uova sono dei minuscoli cestinetti con il manico; sono decorativi e non commestibili e spesso colorati con pennellate di colorante rosso.

Opere d’arte effimera

Comuni a tutti questi tipi di pane sono la cura e la bellezza delle decorazioni. Per ottenere i delicati decori a forma di fiore, di uccellino, di foglia ci vogliono precisione, pazienza, gusto, esperienza e attrezzini piccoli e specifici a loro volta creati con maestria artigianale. Sia le forme decorative codificate, che sono caratteristiche di una certa famiglia, sia gli attrezzini vengono ancora tramandate di madre in figlia.

I pani pasquali in Sardegna: una certa prova di originaità

Ne volete sapere di più? Se avete la possibilità di accaparrarveli ci sono due libri bellissimi. Il primo è certamente quello di Illisso, si intitola semplicemente Pani, è del 2005, ma rimarrà praticamente immortale con le sue oltre quattrocento pagine e più di seicento illustrazioni, la qual cosa giustifica pienamente il prezzo elevato. L’altro, di grande formato, è La sacralità del pane in Sardegna, edito da Carlo Delfino. Un librone di altrettante quattrocento pagine, con un testo di grande valore: una vera miniera di informazioni.

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