Sennori e l’arte del pane

Per un articolo scritto per la rivista Traveler del National Geographic mi è stato chiesto di comporre un breve itinerario geo-eno-gastronomico in una zona del nord-ovest della Sardegna, in provincia di Sassari. Potevo scegliere tra la Nurra e la Romangia e ha vinto quest’ultima.

La Romangia è quella regione storica a nord-ovest della Sardegna che comprende i territori dei comuni di Sorso, Sennori e parte di quello di Sassari. Si affaccia sul Golfo dell’Asinara – a pochi chilometri da casa mia – e, come tutte le zone della Sardegna, racchiude un grande patrimonio di prodotti del territorio: verdure, pane, vino, olio, frutta, dolci. Questo oltre agli otto chilometri di spiagge, ai ginepreti e agli stagni che sono riserva naturale, alle meravigliose colline fitte di vigne, ai siti archeologici e alle chiese romaniche e persino alle fontane monumentali.

Buddi-buddi arriviamo!

Il mio giretto cominciava percorrendo la strada che da Sassari porta al mare, la mitica Buddi-buddi – dotata, per altro, di una modernissima pista ciclabile non abbastanza sfruttata – e prevedeva, tra i comuni di Sorso e Sennori, la visita al chiosco di frutta e verdura di Flavio; all’enoteca-bistrot (e qui la sosta è stata luuuunga) di Nino e alla cantina di Mario. Poi, mia grande passione, nell’articolo si parlava di pane tradizionale. Quello di Daniele Doneddu, che ha il suo forno a Sennori.

Come spesso capita, per ragioni redazionali e di spazio, i testi di questi articoli sono limati e ridotti all’essenziale: bisogna comprimere le informazioni (senza compromettere la fluidità dello story telling… non vi aspettavate, eh, che lo dicessi?) senza rinunciare a nessun punto della scaletta. Va da sé che non ho potuto scrivere tutto quello che avrei voluto su nessuna di queste tappe.

Un vero forno tradizionale

Mi fa quindi piacere “recuperare” la visita a Daniele. Il suo forno si trova al limite dell’abitato di Sennori; fuori della porta, alle spalle del punto vendita di L’arte del pane, si accumulano le fascine di sterpi e rametti di macchia che, profumatissime, servono per iniziare il fuoco che alimenta il grande forno con più bocche dove si cuociono i pani tipici: su tondu, il biscotto (anche integrale), la pasta dura, sa loriga.

La legna utilizzata fa naturalmente la differenza: infatti colore e sapore del pane sono il risultato non solo dell’abilità nel governare intensità, temperatura e massa del fuoco, ma anche della sua qualità. Il semplice fatto di utilizzare essenze locali contribuisce a sancire la “tipicità” del pane, insieme, ovviamente, all’uso di semole e farine di produzione il più possibile locale e della pasta madre, che, con i suoi lieviti caratteristici, è più che mai espressione di un luogo. Un po’ come il concetto di terroir per il vino.

Ma non sono solo materia prima e legna a fare la differenza; nel caso del panificio di Daniele – che dopo esperienze nel campo della ristorazione “in continente” e all’estero è tornato al pane: il suo primo amore – entrano in gioco l’esperienza di tre generazioni e la dedizione al lavoro di un’intera famiglia. Mamma Gavina mi ha mostrato alcuni preziosi teli di lino tessuti a mano che hanno avvolto il pane in lievitazione sia nella sua casa di bambina, a Bitti, sia in quella di suo marito fin dai tempi dei lori nonni e che lei ha continuato a utilizzare, almeno per i primi tempi, quando ha deciso di mettere la sua esperienza a servizio dell’attività commerciale del figlio Daniele. E mi ha spiegato come le piccole e medie paste dure che escono dal loro forno vengano tutte modellate a mano, con l’ausilio di piccoli attrezzi.

Pane “serio”, lontano dalle mode

Entrambi mi hanno poi spiegato, insieme al babbo e alla compagna di Daniele, con l’orgoglio di chi ha fatto crescere un progetto di comunità – tali sono, o dovrebbero essere, anche oggi i forni dei paesi – la scelta di produrre solo pani tradizionali, escludendo, a costo di essere un po’… fuori moda, panini, focacce o pani “moderni”. Intesi come forme e consistenze diverse da quelle che consentono al pane dei Doneddu di conservarsi felicemente fragrante anche per una settimana. E non lo scrivo per scrivere: compero quel pane da Valentina o da Antonello, che lo rivendonoe nel centro storico di Sassari (Daniele, dopo aver impastato e cotto, si mette alla guida del suo furgoncino e consegna personalmente), e posso testimoniare che è proprio così.

E torniamo al concetto di comunità: il pane invenduto non si butta. Se rimane qualche pagnotta all’ora di chiusura del punto vendita, questa va direttamente a chi ne ha bisogno: case famiglia, centri di aiuto per i più sfortunati.  E quando si tratta di organizzare eventi in paese la collaborazione è assicurata: la scena sennorese è vivace e le occasioni di sposare pane e vino – Laura e Delia, produttrici di vino, abitano alla porta accanto –, pane e olio e persino pane e marmellate biologiche non mancano mai, soprattutto d’estate.

Senza contare che il pane – questo pane, buono e sano – quando è un po’ raffermo è l’ingrediente ideale per un sacco di ricette, come il pancotto con carciofi e patate che si fa con il pane tondu a fette. Io, confesso, d’estate lo faccio “invecchiare” apposta e ci faccio una buonissima panzanella, mi perdonino gli amici toscani puristi. O il biscotto, che si può usare per un consistente pane frattau: basta avere un po’ di fantasia, insomma.

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