Topinambur. Che bel nome. Un topinambur è un topinambur è un topinambur. E, dai, tiriamola in ballo, la cara Gertrude! E la sua idea secondo cui il semplice fatto di chiamare una cosa per nome evoca l’immagine di quella cosa e le emozioni che nel nostro immaginario ad essa associamo.
Fiori gialli d’autunno
Ma per i topinambur la cosa si complica. Perché l’immaginario si divide. Chi “vede” dei bei fiori gialli allegri e svettanti nel sole autunnale, chi, invece, un bitorzoluto tubero non particolarmente attraente. La me bambina vede i fiori, la me adulta i tuberi. Infatti sono dovuta diventare (relativamente) grande per capire che le settembrine – come chiamavamo quelle margheritone gialle – sono in effetti un ortaggio.

E un ortaggio che viene da lontano. I nativi americani lo coltivavano da tempi immemori quando, al debutto del XV secolo, tal Samuel de Champlain, esploratore, lo scoprì nei territori di quello che è ora lo stato del Massachusetts e lo portò con sé di ritorno in Francia. Ebbe subito molto successo e la coltivazione si diffuse moltissimo in tutta l’Europa continentale fino al XIX secolo. Poi i gusti cambiarono e il bel topinambur, alias heliantus tuberosus, essendo una pianta molto rustica, si re-inselvitichì e si diffuse ben oltre gli orti, ovunque ci fosse abbastanza acqua per crescere.
L’importante è intendersi…
Il bello è che il nome nativo americano proprio non piaceva, o risultava difficile da pronunciare, quindi comunemente, visto che i tuberi – che sono l’unica parte edibile – hanno un vago sapore di carciofo, il topinambur divenne “carciofo di Gerusalemme”, ma anche “patata del Canada”, ma persino “rapa tedesca”. Oggi si è giunti alla conclusione che quel “di Gerusalemme”, che in effetti sembra un po’ astruso, sia in realtà un fraintendimento, poiché il fiore, che in effetti è della medesima famiglia (il genere heliantus), veniva anche chiamato girasole. Si erano capiti male, insomma.
Comunque sia, il topinambur è un cibo straordinario che contiene ferro, vitamina A e C, fosforo e potassio in quantità straordinarie, carotenoidi, flavonoidi. Per non parlare delle fibre e dell’inulina, tanto amata dal nostro intestino.
Dall’orto alla cucina
E la pianta è facilissima da coltivare (fa tutto da sola) e generosissima. Il sapore dei tuberi è dolce e vagamente nocciolato e la loro versatilità in cucina è confermata. Ci si può fare tutto, dall’antipasto alla vellutata, dal contorno fino al gelato.
Quando li acquistate – da ottobre a gennaio – a meno che non abbiate la felice sorte di toglierli voi stessi dalla terra (tra l’altro il modo migliore per conservarli è lasciarli proprio sottoterra e raccoglierli solo quando servono e quanti ne servono) controllate che siano duri, sodi e dal colore uniforme. Bianco avorio-vecchio o rosati. Se desiderate sbucciarli prima di usarli la cosa migliore è sbollentarli e poi pelarli con un coltellino, ma non è imprescindibile: basta spazzolarli energicamente sotto l’acqua corrente e poi mangiarli con la buccia. Si possono mangiare crudi, a differenza delle patate, in insalata, tagliati fini con una mandolina, ma io vi consiglio di farli diventare uno snack goloso friggendoli o arrostendoli in forno.

Semplicemente affettate i tuberi ben lavati e spazzolati, ma non sbucciati, con la mandolina e man mano fate cadere le fettine in una bacinella con acqua ghiacciata (serve a farle “arricciare” un pochino); scolatele, asciugatele bene e spennellatele con un’emulsione di olio, sale, pepe bianco e la spezia che preferite (fieno greco, zenzero in polvere, miscela di curry…) e stendetele sulla placca del forno rivestita con la cartaforno.
Infornate sul ripiano centrale del forno già caldo (200° circa) e cuocete a vista. Non appena le fettine assumono l’aspetto di patatine croccanti estraetele e fatele raffreddare solo un attimo prima di servirle come snack.
Oppure… ripetete tutto fino al momento della bacinella con acqua ghiacciata. Scolate, asciugate e gettate in olio bollente. Un attimo. Poi condite con la miscela di sale, pepe e spezie preferite come sopra.

Oppure di usarle come decorazione – fritte o arrosto – per un risotto al Parmigiano, insieme a qualche seme di melagrana, che fa tanto inverno.