Mangiare fino all’estinzione

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Un libro che parla esattamente, puntualmente, precisamente di cibo. Cibo raro e da salvare. Si tratta di Mangiare fino all’estinzione, di Dan Saladino edito da Einaudi.

Saladino, sul quale, curiosamente, non esiste una pagina di Wikipedia, è un affermato giornalista inglese di chiare origini italiane – ne parla a un certo punto nel libro – e ha viaggiato per oltre dieci anni su e giù per il globo alla ricerca di… cose commestibili (di origine vegetale e animale) che, pur essendo dei capisaldi delle culture che le hanno sempre prodotte/allevate/raccolte/cacciate, rischiano oggi di scomparire perché non più convenienti economicamente, perché travolte dalla globalizzazione culturale, perché stroncate dalla cecità della politica e, in definitiva, asfaltate dal capitale.

La carne fermentata delle Fær Øer, i pistacchi siriani, l’ostrica piatta della Danimarca; le mele di Sievers in Kazakistan, il pollo nero di Yeonsan, in Corea del Sud; i piselli rossi dell’Isola di Sapelo e l’oca delle Ande boliviane; il caffè selvatico etiope e il vino nelle anfore della Georgia, ma anche le arance Vaniglia di Ribera, in Sicilia.

Saladino ha intervistato produttori, scienziati, cuochi e rappresentanti di comunità indigene per spiegare come il salvataggio di questi cibi non sia una semplice “operazione nostalgia” o un aggrapparsi al passato in più o meno attiva opposizione al nuovo. Anzi! Preservare significa mantenere la diversità genetica che, come tutti sappiamo, è l’unico modo per non estinguerci e progettare il futuro. Un futuro che riguarda tutti, non solo quattro coraggiosi kazachi.

Di questo libro ho parlato anche nel n. 29 dell’Orata Spensierata Digest
 

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