Un libro che celebra la cucina – e non solo – di una città lontana e diversa: Istanbul. È nella mia libreria già dal 2015 e si intitola Eat Istanbul a firma del giornalista Andy Harris e del fotografo David Loftus, che hanno saputo confezionare un ritratto della cucina tradizionale stambuliota colorato, vivace e, sebbene inevitabilmente parziale, estremamente accattivante.
Eat Istambul mi è subito piaciuto molto, ma confesso che ci ho messo sette anni, sebbene l’abbia sfogliato spesso, per decidermi a preparare le ricette indicate. Tutte in realtà fattibilissime dopo essersi procurati due o tre ingredienti “esotici” (che però oggi sono reperibili quasi ovunque).
Perché Istanbul, se non ci sono mai stata? Forse perché è enorme, c’è il mare e la sua storia si estende in profondità e in larghezza, temporale e geografica, come poche altre al mondo. Perché è stratificata e monumentale in quel senso che solo Roma eguaglia. E forse perché è la città più citata in assoluto in opere letterarie, anche di antichissima memoria.
Ecco, dev’essere per questo: Istanbul è forse la città di cui ho letto di più. Non intendo opere ambientate in città (in questo senso Parigi, Londra e Roma di certo la battono dieci a zero), intendo opere letterarie, memoir, racconti, poemi, reportage, saggi, opere storiche di grande rilevanza che hanno la città stessa come protagonista. Mai come di Istanbul si è scritto tanto. O forse mai come di Istanbul ho letto tanto.
E allora mahammara, lahmacun, kebab di fegato, köfte, stufato di carciofi, stufato di agnello con uova e limone, sardine in foglie di vite, insalata di calamari, tortini di pollo e riso, insalata di cetrioli, baklava, budino di pane… il tutto presentato chiaramente, illustrato con immagini strepitose. Le ricette inframezzate da brevi descrizioni di luoghi e da veloci excursus storici fanno di questo grande libro una lettura piacevolissima.
Il numero 26 dell’Orata Spensierata Digest è tutto dedicato a questo libro e alla presentazione delle sue ricette.