In Italia la pasta ripiena in generale ha una tradizione molto ben consolidata. Nel XIII secolo ne venivano già documentate molte varietà e nel XVI secolo diversi gastronomi assegnavano la palma della miglior pasta ripiena alla Lombardia. Da quel momento in poi vennero codificate le moltissime ricette regionali, che ancor oggi prevedono forme e ripieni diversi e legati al territorio: agnolotti, tortellini, pansoti, anolini, tortelli, marubini, casonsei, cialsons… e via raviolando. Tutti formati che in genere prevedono uova (poche o moltissssime) tra gli ingredienti della sfoglia e, in epoca moderna, l’uso della farina di grano tenero.
In Sardegna, invece, la pasta ripiena nasce dalla semola di grano duro e non è previsto l’uso di uova. Qui ci sono i culurgiones, chiamati anche, nella meravigliosa galassia delle varianti della lingua sarda: culingionis, culurzones o culingiones, culurjones, gugligliones, purulzoni, puligioni, cruguxionis, culuriones, culixonis. Tutti termini che indicano un pezzetto di sfoglia di forma variabile che racchiude un ripieno di tipo e consistenza variabili. I ravioli sardi sono infatti di varia natura: dolci, salati e persino un misto dei due sapori.
A metà tra il dolce e il salato stanno infatti i puligioni, ravioli tipici della Gallura. La pasta è sempre fatta con sola semola, acqua e un pizzico di sale, ma il ripieno è composto da ricotta di pecora, scorza di limone o arancia e zucchero. Poi i puligioni vengono serviti con sugo di pomodoro – ovviamente salato – e molto pecorino grattugiato.
Pochi chilometri tanti ripieni
In generale, però, i ravioli sono ripieni di ricotta fresca o mustia (stagionata e affumicata), o di formaggio pecorino più o meno stagionato, con l’aggiunta o meno di erbette o bietole, erbe selvatiche o prezzemolo. Le dimensioni variano a seconda della zona: per esempio quelli tipici di Gavoi (Nuoro) sono ripieni del pregiato Fiore Sardo Dop e sono piuttosto piccoli; nel Sassarese sono ripieni di ricotta di pecora ed erbe e sono decisamente più grandi. In nessun paese della Sardegna i ravioli tradizionali sono ripieni di carne e, in genere, si condiscono con un filo d’olio e molto formaggio, sugo di pomodoro fresco, oppure con del ghisadu: un ragù di carne di manzo, o di agnello, o di maiale.
Inoltre ci sono anche ravioli dolci e persino dei particolarissimi “ravioli di sangue”, che non sono specialità per vampiri gourmet, ma dolcetti, che, con alcune varianti, vengono preparati tra Neoneli (Oristano), Lodine, Gavoi e Ortueri (tutti in provincia di Nuoro) in occasione del Carnevale. Poiché il Carnevale inizia tradizionalmente il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio, e il maiale veniva macellato proprio in quei giorni approfittando del freddo, era quasi obbligatorio che il sangue dell’animale finisse anche nei ravioli insieme a spezie, scorza d’arancia, oppure mandorle tritate e mosto cotto. I culurgiones de sambene – oggi poco diffusi – venivano poi fritti e immersi nel miele prima di essere serviti come corroborante spuntino.
Meno estremi sono i culixonis de mindula del Campidano di Cagliari, dolcissimi, ripieni di mandorle e fritti. Così come altre varianti locali, che prevedono mandorle più zucchero o miele, o ricotta più zucchero e vengono sempre fritti. Campionessa di questi ravioli è la cara amica Patrizia del ristorante La Rosa dei Venti di Sennariolo.
Igp e le porte della celebrità
Ma oggi i ravioli più famosi di Sardegna, ormai proposti dai pastifici di mezza penisola, come per esempio il Pastificio Ratanà in via Pastrengo a Milano, sono però i Culurgionis d’Ogliastra Igp. Con l’ottenimento del marchio Igp infatti la popolarità di questi ravioli è salita alle stelle; si sono moltiplicate le citazioni e le ricette e, in ogni angolo di mondo, cuochi e appassionati si cimentano nella loro preparazione.
La zona d’elezione è, come si diceva, l’Ogliastra e la produzione del prodotto Igp si concentra nei territori di ventiquattro comuni nell’ambito di quella regione storica e di tre comuni nell’adiacente propaggine della provincia di Cagliari. Ciò che affascina maggiormente nei ravioli ogliastrini è la forma. Sono ravioli piuttosto grandi, molto pieni, panciuti, a forma di goccia, chiusi in modo molto originale tramite una lavorazione della pasta che ricorda una spiga di grano.

La sfoglia, che i più producono con sola semola, acqua e sale (ma che può contenere anche olio o strutto), si stende con il matterello; dalla sfoglia si ricavano delle forme rotonde con uno stampo o a mano; su ogni tondo si depone un mucchietto di ripieno.
Stesa e tagliata la pasta e deposto il ripieno, viene il bello: si prende il raviolo in una mano e, con pollice e indice dell’altra, si procede a “pizzicare” la sfoglia in modo ritmato e alternato, formando la famosa chiusura/cucitura. Non esiste una macchina per questa operazione. Non per nulla i culurgionis ogliastrini sono venduti a numero, spesso confezionati in pirottini identici a quelli dei pasticcini.
Il ripieno prevede patate – lessate e schiacciate come per fare gli gnocchi – ; il solo casu axedu o una miscela di formaggi ovini, caprini o vaccini; strutto o olio extravergine di oliva e poi menta, possibilmente fresca, con possibile aggiunta di aglio e, a volte, di basilico e/o cipolla. Questo per dire che ognuno ha le sue abitudini.
Il casu axedu è un formaggio prodotto con latte di capra o di pecora di razza sarda, a pasta fresca, dal sapore spiccatamente acido quando fresco e piccante/salato quando stagionato. Fresco si chiama anche, a seconda delle zone, fruhe, frua, merca, ischidu… Quando viene lasciato stagionare e acquisisce il suo sapore salato tutto particolare allora si chiama casu ‘e fittas.

Da provare
Se il condimento “tradizionale” è sempre semplice, mai di carne, molti cuochi sardi hanno in questi anni reinterpretato i culurgionis: li hanno proposti senza formaggio per poterli abbinare con sughi o brodetti di pesce; li hanno fatti fritti, anziché lessarli come comunemente si fa o, addirittura, li hanno cotti sulla griglia. Alcuni hanno aggiunto zafferano o nero di seppia alla pasta per ottenere effetti cromatici particolari. Tutte versioni da provare almeno una volta.
Io li faccio raramente a casa, anche perché posso contare su quelli buonissimi del pastificio di Francesco Canu, ma poi li condisco nei modi più diversi; d’estate con verdure e creme (di melanzane, per esempio) o con il pesto; d’inverno con salsiccione, ragù o formaggi.